Per carità, io – come voi – sono di parte. Ma quando Hideo Kojima si alza e rivolge parole d’elogio nei confronti della in-game photography, e quindi della photo-mode, le chiacchere stanno a zero. Succedeva la scorsa estate, e precisamente verso la fine d’agosto. A meno di un mese circa dal lancio di Death Stranding Director’s Cut, il famoso game designer giapponese sul suo profilo twitter inglese, lanciava una piccola riflessione sullo stato dell’arte.
Premesso che la validità delle sue affermazioni è data per scontato, visto lo spessore professionale di chi le ha pronunciate, in alcuni punti mi sono sentito toccato nel vivo. Come se si rivolgesse direttamente a me e legittimasse quello che ho costruito – e sto tuttora costruendo – in questi anni. L’ho vista come una sorta di milestone della mia carriera da fotografo videoludico, frasi da imprimere nella memoria e da rievocare nei momenti di stasi creativa.
Il primo tweet di Hideo Kojima è uno state-of-play sulla in-game photography: “Recentemente, sempre più persone stanno diventando fotografi in game. Ho pensato che questa potrebbe essere una nuova forma d’arte“. Vedete è giusto secondo me che la fotografia videoludica si stacchi dal cordone ombelicale di quella virtuale. Ormai ha una sua dimensione e una sua identità per cui è giusto chiamarla con il suo nome. Al pari dei suoi genitori biologici, è in tutto e per tutto una nuova forma d’arte, con alcune regole che valgono come nella realtà.
Il game designer giapponese prosegue, poi, con una riflessione importante su quelle che comunemente vengono chiamate soft skills e che tutti noi – con coscienza o meno – abbiamo sviluppato nel corso di questi anni: “ci sono ancora persone che ti prendono in giro per il fatto che tu scatti delle fotografie virtuali del gioco. Se continui a fare fotografie, anche mentre giochi, le tue sensibilità e abilità (composizione, layout, focus, etc.) miglioreranno naturalmente“. Non credo che devo aggiungere altro a quanto sinora detto. Ma c’è una seconda parte che, invece, merita un giusto approfondimento.
Hideo Kojima conclude la sua riflessione con un punto a capo: “la cosa più importante è che (ri)conoscerai cosa vuoi fotografare. Dopo questo, l’esperienza maturata con i giochi diventerà utile quando scatterai delle immagini con una vera macchina fotografica o uno smartphone”. Quindi, ricapitolando.
- la in-game photography attrae sempre più nuovi adepti, attestandosi come una nuova forma d’arte;
- sbattitene se ti prendono per il culo e continua a scattare foto come se non ci fosse un domani perchè le tua capacità migliorano scatto dopo scatto;
- quello che impari giocando lo (ri)porti anche nella realtà di tutti i giorni.
Molto bene, e quindi cosa altro posso aggiungere? L’ultimo biennio è stato un continuo crescendo. Su instagram i profili dedicati alla in-game photography sono spuntati come i funghi, consacrando il talento di numerosi artisti del settore. Personalmente ho visto il mio profilo crescere in maniera esponziale in termini di ritorno del pubblico, con la gia di avere un gruppo nutrito di follower che mi ha sempre supportato con consigli e commenti.
L’unica cosa che mi permetto di aggiungere, rispetto a quanto già detto dal maestro nipponico, è solo una: osate sempre e non abbiate mai paura di sperimentare. La photo-mode è uno strumento che permette di esprimere al meglio l’estro creativo di ognuno di noi. Gli sviluppatori la inseriscono per un motivo all’interno di un videogioco, per cui sfruttatela al meglio. Le soddisfazioni non tarderanno ad arrivare.